a cura di Decio Lucano
                                                                                                                                                                           
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              dei venti rosa
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Pensieri

Molto impegnativo il titolo di questa voce del nostro sito. Ci vuole una “ penna” che sappia scrivere, una sensibilità umana e intellettuale di notevole spessore. Tobia Costigliola
Una cultura che catalizzi il visitatore/letttore in modo compiuto e che, alla fine dell’argomento prescelto dall’autore, riempia questo spazio di saggezza.

Questa voce viene inaugurata dal nostro Tobia Costagliola  capitano, manager, scrittore.

Tocca il pensiero che, in filosofia, indica tutto il complesso di quella che è l’attività cosciente della vita spirituale o dell’attività conoscitiva.
Ma Tobia con estrema sincerità  tocca anche il ruolo dei sogni, o, come scrive Voltaire, ...” quando tutti i sensi sono spenti nel sonno, ce n’é uno interno che resta vivo... sono solo gli organi della nostra macchina che agiscono? O é forse l’anima pura e sola che, sottratta alla schiavitù dei sensi, usa dei suoi diritti in tutta libertà?… “ Ma Tobia aggiunge qualcosa che precorre la vita, un mistero  e una incognita del dopo. ( D.L.)

Il mare, l’isola, viaggio verso il mondo sognando, e il ritorno alla scoperta di un’altra incognità della vita, il dopo.
di Tobia Costagliola


Non credo di essere un caso unico o raro ma posso dire con certezza che, ogni qualvolta  mi sono accinto a concentrarmi nei miei pensieri, fin dalla prima età, c’è stata una presenza sempre viva, sia come luogo fisico in cui si sviluppava la mia fantasia, sia come soggetto prevalente delle mie stesse elucubrazioni: il mare con tutto quanto vive e ruota intorno e dentro ad esso.
Per noi isolani di Procida, questa presenza è molto viva e  tangibile fin dalla nascita: ti giri a destra e a manca e lo trovi sempre lì, tutt’intorno. Da bambino lo percepisci come una protezione che cinge la tua isola con i flutti spumeggianti o con le placide onde illuminate da albe radiose o fantasmagorici  tramonti.
Crescendo, però, incomincia a “starti stretto”  e lo vedi come un ostacolo che si frappone fra l’isola e le sponde del mondo. E più tardi ancora, ti rendi conto che quell’ostacolo  è solo apparente e rappresenta, invece, l’unica via verso la libertà e verso il mondo. L’unica via per realizzare i sogni che avevi coltivato da ragazzo e per raggiungere mete lontane che spesso la realtà e la ragione ti dimostrano essere non sempre raggiungibili. E,così, si parte, dando un ultimo sguardo oltre la scia che il traghetto lascia nel suo veloce procedere, dove i punti “cospicui” della tua isola (il castello aragonese o il faro di Pioppeto) vanno lentamente scomparendo. E da quel momento non guardi più indietro ma, sempre avanti, facendo l’ingresso in quel mondo frenetico e tumultuoso in cui dovrai affrontare lotte e sacrifici d’ogni genere per affermare la tua presenza, per assumere il ruolo che saprai conquistarti e inserirti, anche tu, in quel percorso senza ritorno che, tra gioie e dolori, rappresenta la grande ed entusiasmante ”avventura della vita”.
E ogni qualvolta ritorni nell’isola, temprato dal lavoro, fortificato dalle esperienze e sempre più affaticato, ma “maturo”, cominci a guardare quei luoghi che hai lasciato con occhi diversi e ti abbandoni nell’oblio fino a quando non ti risvegli, pronto ad affrontare un’ altra “campagna”. Magari cominciando a pensare in modo diverso e facendo altri sogni per un futuro sempre diverso dal presente.  Così, tra un imbarco e l’altro oppure, dopo aver posto le radici in altro locco, ritenendolo più conveniente o non avendo altre alternative, passano gli anni, il mondo cambia e tu ricominci a sognare - non bisogna mai smettere di sognare - di ritornare nella tua isola che un tempo ti stava troppo stretta.
Questi andirivieni, questo sognare e risognare, con tutto il tempo che occupano, costituiscono il percorso della nostra Vita, di mare o di terra che sia, che vale  sempre la pena aver vissuto tra tante “campagne”, tanti viaggi o come un unico viaggio in preparazione del nostro “vero” grande viaggio. Un viaggio “certo” e “sicuro” a cui nessuno potrà sottrarsi. E’  l’ultimo viaggio della nostra vita la cui destinazione è stata ed è la forza motrice della Storia: la vita dopo la morte. Una destinazione ed un viaggio a cui penso spesso con ansia, apprensione, curiosità ed impazienza.
Impazienza superiore a quella che avevo da bambino e poi da ragazzo, senza sapere quello a cui andavo incontro, con tanta incoscienza. Si tratta di una impazienza tutta isolana indotta dal bisogno di conoscenza, dal bisogno di “salpare la prora” e …andare…verso la grande “incognita” della vita.
Credo, tuttavia, a maggior conforto dei “non isolani” che, in realtà, siamo tutti isolani “ansiosi” che, nella giusta età decidiamo  di “salpare” verso il “mondo” vogliosi di realizzare i nostri sogni e le nostre aspirazioni.
Ora, alla mia età, non tiro i remi in barca e mi piace ancora remare anche se il viaggio è quasi terminato. Vorrei giungere sulla sponda velocemente e con tanto abbrivio perché sono certo che quest’ultima sponda è l’arrivo nell’eternità : sono impaziente di conoscere questo nuovo e tanto sospirato, fantastico mondo. E’ da una vita che sono in viaggio per raggiungerlo…

Tobia Costagliola

* * * * * *
Questo “pensiero” l’ho preparato per CSTN Centro Studi Tradizioni Nautiche la rivista online della Lega Navale Italiana che ha raggiunto il 100° numero di pubblicazione, una rivista molto ben concepita con collaborazioni di prestigio del campo marittimo, storico e dello sport della vela, una grafica essenziale con immagini da archivio.
Il mio amico Paolo Rastrelli me l’ha chiesto e spero non si offenderà se questo mio “pensiero “ lo pubblico  anche sul mio sito alla voce PENSIERI, tra noi non c’è concorrenza, solo stima e affetto.  ( DL )

I RELITTI IMMORTALI
DI BAHIA BLANCA

E’ stato detto autorevolmente che una delle forme di felicità é rivivere  il passato nella memoria, sensazioni vissute in luoghi mai più frequentati, la percezione dei suoni e dei colori  della natura. Bahia Blanca
Non dimenticherò mai a Bahia Blanca in Argentina, una plaga a vista d’occhio dove con la bassa marea ritornavano alla luce due relitti di bastimenti antichi.
La racconto perché può essere di interesse per chi ama scavare nel  passato  delle navi  e trovano una relazione col presente della nostra esistenza.
Siamo alla fonda nella baia, silenzio; c’è ancora la luna e il vento porta l’odore degli spacchi arsi della terra, della paglia disseccata, porta al crepuscolo l’odore di aria bruciata, di ossa fossili, terra smottata.
Fra cielo e terra un breve arco rosa a levante, sono le prime luci del crepuscolo. Silenzio, poi nell’aria gelida un lamento lontano, a intervalli si ripete come un richiamo, si porge orecchio a percettibili rumori; ecco, là nel dolce arco rosa dell’aurora occhi curiosi individuano un pennacchio scuro, è in movimento un treno che rompe con suono lagnoso il silenzio della baia, vasta come un deserto.
L’alba argentina sembra intonare un ritmico fraseggio tra queste figure sciogliendosi dall’abbraccio della notte. I fischi dei treni argentini sono lamenti umani, gridi di dolore.
L’alba porta via l’alta marea e denuda la vasta plaga disseminata di specchi acquei azzurri  formando canali che sprofondano mentre l’acqua si ritira.
Il  trenino piagnucoloso  costeggia la plaga, uno spiritello di fumo dalla ciminiera scalcia nell’aria, il sole compare all’orizzonte e risucchia ogni ciotolo solitario, ogni grano di sabbia; il mare è sceso di oltre sei metri e una faccia della terra viene allo scoperto.
Sono i contorni di due scafi sommersi nella sabbia dorata dal sole, cocci di vetro riemergono tra le ordinate  mozze, il legno antico scuro è nudo: sembrano resti fossili con la gabbia toracica colma di sabbia.
Il sole ora è staccato dai contorni della terra, si distingue bene la pianura oltre la strada ferrata, monti lontani avvolti nei vapori del mattino, i primi gabbiani rimestano con becchi nervosi.
Le pietose ordinate dei vascelli relitti spuntano dalla sabbia, affondati e riemersi ogni giorno, chi sa da quanti anni. Una profanazione?
Due barche che non  hanno avuto la fortuna di essere sepolte  in acque profonde dove la decomposizione si consuma nei ritmi biologici.
Ogni giorno la luce riscopre questi resti che conservano ancora una dignità nel mondo del sopravissuto, una disfatta che turba il processo di amalgama con la natura, la pace desiderata.
Ogni giorno appaiono nella plaga i due relitti, senza vita senza morte, quando il sole indora la sabbia che li sommerge.
Nella mia memoria ci si sente più vicini al significato della propria esistenza, il senso della vita insieme ai compagni di traversata.


Decio Lucano      
novembre 2020



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“Pensieri” significa anche suscitare riflessioni con due testimonianze che ricordano un uomo di mare e di terra, il comandante Mario Gandolfi.
Dotato di eccezionali doti di comunicabilità, Gandolfi ha saputo essere un grande capitano e un manager di azienda, un uomo  dallo spiccato sense of humour, bravissimo nell’interpretare le normative marittime e tecniche nel modo concreto del vero uomo di mare, dove il pericolo è una condizione permanente di chi ha responsabilità di governo.
Tra questi amici che lo hanno voluto ricordare ci piace sottolineare una donna di cuore e di carattere, intelligente interprete delle alchimie ministeriali, la dottoressa Elena Gaudio (che ringraziamo per la fotografia). L’ingegner Guido Barbazza, dirigente di una grande multinazionale, é stato capitano di macchina, prima di fare una carriera brillante che dura tuttora, è anche scrittore affermato e articolista del quotidiano Il Secolo XIX.

CAPITANI CORAGGIOSI

Caro Decio, un altro capitano coraggioso ha preso il largo vigile e sull'attenti. Come hai sottolineato ci lascia il suo ricordo, il suo sorriso anche quando era contrariato. Gandolfi e Meriggioli sono stati la mia guida nella formazione nautica, con le loro parole, come il paesaggio dei tuoi ciliegi,  salivo a bordo delle navi e tutto mi sembrava diverso. Collaborare insieme era fonte di scoperte e di nuovi orizzonti, è una perdita immensa per noi e i nostri giovani. Buon vento Mario nella tua nuova rotta. RIP
Elena Gaudio

Quando l’ho incontrato all’aeroporto del Cairo
di Guido Barbazza

Gandolfi e GaudioMario Gandolfi l’ho incontrato per la prima volta, tanti anni fa, all’aeroporto del Cairo, in Egitto, quando la proprietaria dell’agenzia di viaggi che avrebbe dovuto accompagnarci ebbe una crisi di nervi e ci confessò che il suo compagno e contitolare l’aveva piantata in tronco, non si era fatto più vedere, lei non sapeva spiaccicare neanche una parola in inglese e quindi, la nostra vacanza alle piramidi e ai templi egizi era finita ancor prima di iniziare. Grande fu lo sconforto tra lo sparuto gruppetto di vacanzieri, in quanto nessuno era in grado di parlare inglese, tantomeno l’egiziano. Non erano tempi di cellulari e smart-phones quelli. Fu lì che noi due, con intensi ed importanti esperienze internazionali e di navigazione, ci conoscemmo, ci capimmo subito, al volo, e prendemmo il comando delle operazioni. Mario mi spiegò di quando era comandante di grandi petroliere, e io gli parlai dei miei trascorsi in sala macchine e in giro per il mondo a rimettere in servizio motori e macchinari. Prendemmo quindi il controllo della situazione, gestendo il viaggio e contrattando i servizi delle guide locali e dei trasporti interni, spesso comunicando solo a gesti, praticamente improvvisandoci tour operators. Lui era troppo forte, sempre allegro e ciarliero, e così automaticamente ci suddividemmo i ruoli, con “il Comandante” che teneva alto il morale della truppa e distraeva i nostri compagni di avventure da pensieri troppo cupi riguardo a come sarebbe andata a finire quella cosa, e “l’ingegnere” che gestiva l’operatività e conduceva il manipolo. Grande fu lo sconforto, una volta arrivati ad Assuan, nel prendere atto che la scalcinata agenzia non aveva provveduto neanche per i trasporti in bus  fino al tempio di Abu Simbel, ma la nostra spigliatezza e familiarità con gradi e divise ci consentì di spacciarci per due altri ufficiali e fare comunella con il Capitano dell’Esercito Egiziano addetto al sito, che ci organizzò subito un servizio speciale e pure gratuito con un autobus militare e relativa scorta, tutti al nostro esclusivo servizio, per visitare  fuori orario, da soli, lo splendido sito archeologico. Ricordo con affettò e lucidità, come fosse accaduto ieri, l’immagine del Comandante Mario a ridere ed intrattenere con le sue sagaci batture i nostri compagni su quell’enorme autobus che sfrecciava sobbalzando nel deserto polveroso, fino alla scintillante spiaggia di alabastro bianco. Una vacanza scalcinata e nata male, grazie a lui, si trasformò così in un’avventura indimenticabile che avremmo poi tutti portato per sempre nei nostri cuori. Re-incontrai il Comandante molti anni dopo, quando mi riavvicinai all’Istituto Nautico e al Collegio Capitani, e lo ritrovai animato dallo stesso indomabile spirito, quindi cercai di non perdere l’occasione di assistere alle sue prestazioni di “Anchor Man” in occasione del “Premio San Giorgio”, apprezzando la sua genuina umanità ed empatia, la sua intrinseca intramontabile giovinezza d’animo. Buon vento, Comandante!
Guido Barbazza